Una persona su sei dichiara di aver sofferto un burnout in Svizzera

Il 17% della popolazione svizzera dichiara di aver già sofferto un burnout, noto anche come sindrome da esaurimento professionale. La Svizzera francese, le donne e le persone a basso reddito sono chiaramente più colpite della media.

La sofferenza sul lavoro è una realtà per molte persone in Svizzera. Il 17% della popolazione svizzera dichiara di aver sofferto un burnout. E non meno di uno svizzero su quattro ritiene di essere a rischio nel suo attuale ambiente di lavoro, secondo i risultati di un ampio sondaggio condotto dalla SSR.

Tuttavia, non tutte le categorie della popolazione sembrano essere colpite allo stesso modo. La prevalenza del burnout sembra essere particolarmente elevata tra i francofoni (24,1%), ben al di sopra di quella riportata nella Svizzera tedesca (15,1%), italiana (14,7%) o romancia (5,3%).

Come si spiega questa discrepanza? La psicologa Nadia Droz sottolinea che il burnout non è una diagnosi riconosciuta, né una sindrome chiaramente definita. Ritiene quindi che una delle spiegazioni potrebbe quindi risiedere in una "diversa lettura" del termine nelle diverse lingue. La specialista in medicina del lavoro mette in guardia da interpretazioni troppo affrettate: "Questo sondaggio non porta alla conclusione che sia meglio lavorare nella Svizzera tedesca che in Romandia".

Professore presso l'Istituto di psicologia del lavoro e delle organizzazioni dell'Università di Neuchâtel, Laurenz Meier non azzarda un'opinione definitiva sull'argomento. Al massimo, osserva che questa differenza tra la Svizzera francese e quella tedesca si riscontra in altri disturbi psicologici. Questo è particolarmente vero per la depressione, come dimostrano i dati dell'Ufficio federale di statistica.

Come nel caso delle regioni linguistiche, esiste un significativo divario di genere. L'indagine mostra che le donne hanno più probabilità degli uomini di ammettere di aver sofferto di burnout durante la loro carriera (18,7% contro 14,8%). Ciò è particolarmente vero per le donne tra i 40 e i 64 anni (22%).

"Nel caso del burnout, come per altre malattie psicologiche, sappiamo che le donne sono più propense degli uomini a esprimere la loro condizione e a cercare aiuto", sottolinea Nadia Droz. Tuttavia, questo non significa che l'effettiva prevalenza della sindrome da burnout sia diversa a seconda del genere, sottolinea.

Laurenz Meier avanza altre ipotesi. A suo avviso, è possibile che la differenza di genere sia legata ad altri parametri non presi in considerazione nel sondaggio. Ad esempio, le donne sono sovrarappresentate nella sanità e nell'assistenza alla persona, un settore noto per le sue difficili condizioni di lavoro. Il peso del lavoro domestico, che ancora grava principalmente sulle donne, può anche essere un fattore aggravante del sovraccarico di lavoro professionale, ipotizza il professore.

Il reddito sembra essere un fattore determinante nella prevalenza del burnout. Secondo il sondaggio della SSR, più si guadagna, meno si rischia di soffrire di burnout. Quasi il 30% delle persone appartenenti a un nucleo famigliare che guadagna meno di 3'000 franchi al mese dichiara di aver subito un burnout. All'altra estremità della scala, "solo" il 13% di chi guadagna più di 9'000 franchi ha sperimentato un burnout.

Per Laurenz Meier, oltre al carico di lavoro, anche le ricompense che riceviamo per il nostro duro lavoro - tra cui lo stipendio - sono importanti per capire se si verifica o meno il burnout. "Al di sopra di un certo reddito, lo stipendio non è un fattore motivante sul lavoro", osserva Nadia Droz. Tuttavia, per i redditi più bassi, questa soglia non viene raggiunta e lo stipendio non è sufficiente per vivere, "il che rappresenta un rischio di stress cronico", sottolinea l'esperta.

Il tasso di occupazione non è importante

Paradossalmente, secondo il sondaggio, il burnout non è più comune tra i lavoratori part-time rispetto a quelli a tempo pieno. In entrambe le categorie, la prevalenza è quasi identica. "Non c'è da stupirsi - afferma il professor Laurenz Meier -. Si pensa che il carico di lavoro spieghi il burnout, ma non è così. Sono soprattutto la densità e l'intensità del lavoro che contano". Ad esempio, avere cinque ore o dieci ore per svolgere lo stesso compito è molto diverso in termini di carico di lavoro percepito, spiega.

Nadia Droz è d'accordo: "Il lavoro a tempo parziale non è protettivo. Può esserlo, soprattutto per chi ha sofferto un burnout e ha deciso di ridurre il proprio carico di lavoro, ma non lo è per forza". Lo stesso vale, tra l'altro, per la professione o la posizione gerarchica. "Nessun lavoro o posizione è un baluardo contro il burnout", conclude la psicologa di Losanna.

Uno su sei ha subito un burnout

Stress sul lavoro: cosa significa per voi?

In Svizzera, gran parte della popolazione attiva si sente emotivamente esausta sul lavoro. Analisi delle gravi conseguenze che ciò ha sul benessere delle persone, sulla salute pubblica e sull'economia.

Simone Fassora

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Le vacanze estive sono finite. Si torna al lavoro e allo stress che ne deriva. In Svizzera, gran parte della popolazione attiva si sente emotivamente esausta sul lavoro, con gravi conseguenze per il benessere, la salute pubblica e l'economia. Per le persone colpite è come affrontare una montagna insormontabile da scalare, come illustra Sarah Bertschi, consulente in gestione della salute sul lavoro.

Lavoro e stress sono sempre andati di pari passo. Il termine "burnout" è stato coniato nel 1969, ma la sindrome è stata concettualizzata nei primi anni '80, principalmente nelle professioni sanitarie e assistenziali, prima di essere estesa a tutti i settori. Secondo Unisanté, oggi in Svizzera la prevalenza del burnout tra i pazienti è compresa tra il 6% e il 9%.

La nostra società capitalista e tecnologica ha trasformato il mondo del lavoro. L'arrivo delle e-mail, degli smartphone e del lavoro a distanza ha reso meno netto il confine tra vita privata e professionale. A ciò si aggiunge la pressione che esercitiamo su noi stessi.

"In Svizzera abbiamo un rapporto speciale con il lavoro. Parliamo di "qualità svizzera", di "lavoro ben fatto", ci sono sindacati ma pochissimi scioperi. In Svizzera il lavoro è un po' sacro", osserva la psicologa Catherine Vasey.

I sindacati chiedono una protezione più adeguata a questi cambiamenti. "Oggi il lavoro è diventato più impegnativo, più intenso e più complesso. Le nuove tecnologie hanno reso possibile aggiungere sempre più compiti a un lavoro, i salari sono stagnanti e il costo della vita è in aumento. Quindi è una situazione molto difficile per i lavoratori", spiega Migmar Dhakyel, segretaria centrale del Syna.

Un'altra componente è il senso del nostro lavoro. Nel 2018, l'antropologo americano David Graeber ha coniato il termine "bullshit job" per riferirsi alle mansioni inutili svolte da molti dipendenti, anche in Svizzera.

Michaël Desforges, ad esempio, ha lavorato nel settore bancario per oltre vent'anni. La produzione patologica di rapporti lo ha indotto a cambiare direzione. "Sembrava che tutti noi producessimo ogni giorno una tonnellata di rapporti che finivano sulla scrivania di un manager il cui compito era quello di leggerli. Non abbiamo mai ricevuto alcun feedback su ciò che stavamo facendo. È questa nozione di utilità che è davvero importante. Fai qualcosa e ti chiedi: "A cosa serve?"", spiega.

Al di là dell'immensa pressione esercitata su alcune professioni dalla pandemia, il Covid ci ha anche permesso di rallentare e di scoprire una vita quasi senza ufficio e senza colleghi. Il rientro è stato difficile. Nell'ottobre 2021, la Clinica Holistica, specializzata in burnout, aveva una lista d'attesa di due o tre mesi.

"Nel primo semestre del 2021 abbiamo raggiunto un tasso di occupazione record del 100,7%. Eravamo di fatto sovraffollati, e questo tasso è simile o addirittura superiore per la seconda metà dell'anno", osservava Michael Pfaff, direttore medico della clinica grigionese.

L'anno scorso l'assenteismo ha raggiunto livelli record in Svizzera. Con 9,3 giorni di assenza per dipendente a tempo pieno nel 2022, si tratta del 20% in più rispetto al periodo Covid e del 33% in più rispetto al 2019. Questo aumento riguarda tutti i settori. La causa principale è la salute, sia fisica che mentale.

Lo stress sul lavoro è costato all'economia svizzera circa 6,5 miliardi di franchi lo scorso anno, secondo il Job Stress Index 2022 di Promotion Santé Suisse.

"È molto costoso per il datore di lavoro. Una cosa è la grande azienda che ha un dipartimento delle risorse umane con molti dipendenti. Il margine di manovra è molto meno importante per le piccole aziende, che sono soggette agli stessi vincoli e che esercitano la stessa pressione sui loro colleghi", ha spiegato il direttore dell'Ufficio AI di Ginevra.

Quindi tutti cercano la bacchetta magica. Tra questi strumenti, i "chief happiness officer", ovvero i responsabili della felicità. "Se un manager mi dice che il benessere sul lavoro costa un certo budget, gli rispondo che non è nulla rispetto al costo del malessere sul lavoro", sottolinea Annika Månsson della società Happy at Work.

Ma questi guru la cui missione è quella di incoraggiarci a migliorare le nostre prestazioni sul lavoro preoccupano Sophie Le Garrec, sociologa del lavoro presso l'Università di Friburgo: "In questi corsi di formazione, la retorica attribuisce la responsabilità dello stress unicamente all'individuo e non alla messa in discussione del contesto lavorativo e dell'insorgere di questo stress".

Stress sul lavoro

I veterinari sono particolarmente esposti al rischio di suicidio

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Uno studio francese ha dimostrato che i veterinari hanno da tre a quattro volte più probabilità di suicidarsi rispetto alla popolazione generale. Anche in Svizzera i veterinari si trovano in difficoltà. È stata appena istituita una linea telefonica diretta per aiutarli.

Vannozza Gauthier, veterinaria di Echallens, ama molto il suo lavoro. Tuttavia, qualche anno fa, ha rischiato di chiudere il suo studio. Il motivo: "Ho rischiato di bruciare".

Il suo caso non fa eccezione. Uno studio condotto in Francia dall'Université Bourgogne Franche-Comté e pubblicato l'anno scorso, ha dimostrato che i veterinari hanno una probabilità di suicidio da tre a quattro volte superiore rispetto alla popolazione generale e doppia rispetto a chi lavora nella medicina umana.

Giornate interminabili, emergenze e turni di guardia: è una settimana lunga per i veterinari. Secondo uno studio condotto dal Bureau d'études de politique du travail et de politique sociale (BASS) nel 2021, i veterinari lavorano in media 50 ore a settimana.

Quando ha aperto il suo studio, Vannozza Gauthier aveva un telefono cellulare con cui i suoi clienti potevano chiamarla 24 ore al giorno, 6 giorni alla settimana e tre fine settimana al mese.

"Alcune sere, quando torno a casa sono così stanca che non riesco nemmeno a preparare la cena. Al giorno d'oggi è raro, ma una volta succedeva spesso. Ci sono molti sensi di colpa perché si ha la sensazione di deludere la propria famiglia".

E per di più: "Le valutazioni di Google pesano molto su di noi", commenta.

Un'altra difficoltà è che i rapporti con i proprietari di animali domestici sono diventati tesi. Lo status degli animali nella società è cambiato e oggi i clienti hanno grandi aspettative.

Un veterinario di Ginevra, Luc Borer, racconta il caso di un cliente che, al termine di un consulto, gli disse: "È come mio figlio, se gli succede qualcosa ti ammazzo".

Soprattutto, non tutti sono disposti o in grado di pagare le cure mediche per il proprio animale domestico. "È straziante per noi non poter aiutare un animale per motivi finanziari, anche se è la nostra vocazione", dice Luc Borer.

In qualità di presidente della Società dei Veterinari di Ginevra, Luc Borer vede un flusso costante di reclami da parte dei clienti. Alcuni chiedono il rimborso delle fatture mesi - o addirittura anni - dopo un trattamento, perché lo considerano troppo costoso a posteriori.

L'eutanasia è un altro aspetto che, sebbene comune, può pesare molto sui veterinari. Nel cantone di Vaud, Laudine Lequet sa di cosa parla: "Trovarsi di fronte alla sofferenza, sia essa umana o animale... Non si può essere insensibili a questo", riassume. "E vediamo tutto, davvero".

Sebbene la Svizzera non tenga statistiche sui suicidi tra i veterinari, il malessere che colpisce la professione è ben noto. "Conosco direttamente due persone che si sono suicidate. E quando si parla con i colleghi, molti conoscono i casi", dice Luc Borer.

Questo è anche il caso di Vannozza Gauthier, il cui collega ha posto fine alla sua vita utilizzando attrezzature della sua stessa farmacia. Perché anche avere i mezzi necessari a portata di mano è un fattore che facilita l'atto.

Per quanto riguarda Laudine Lequet, conosceva un collega e amico che si è tolto la vita solo due anni dopo aver terminato gli studi, all'età di 26 anni. Per riconoscere meglio i sintomi del burnout, si è unita all'associazione francese Véto-Entraide.

Consapevole del problema, la Società Svizzera di Veterinaria ha istituito questo febbraio una linea di assistenza gratuita per aiutare i veterinari, gli assistenti veterinari e coloro che li circondano. "Vogliamo andare oltre e stabilire misure più efficaci per sostenere gli studenti", spiega Olivier Glardon, presidente della Società.

"Perché ci stiamo rendendo conto che anche loro sono vulnerabili, il che è forse una novità. Vorremmo anche fornire maggiore supporto durante la formazione post-laurea, che può essere uno shock come nella medicina umana, così come durante il lavoro nello studio per individuare più rapidamente eventuali preoccupazioni".

"Se si sa come prendersi cura di sé e porre dei limiti, sia per i proprietari degli animali che per se stessi, è un lavoro meraviglioso", conclude Vannozza Gauthier. "Ma bisogna imparare a gestire tutto questo.

Veterinari a rischio

Il lavoro occupa troppo spazio?

Prevenire il burnout? Ascoltate il corpo!

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Molte persone lamentano uno stress cronico sul lavoro. La pandemia di Corona ha spesso reso il lavoro quotidiano ancora più stressante. Per evitare di rimanere intrappolati in una spirale di stress, è necessario prestare attenzione ai segnali del proprio corpo, afferma il medico del lavoro Dieter Kissling.

SRF: Sig. Kissling, secondo alcuni studi, molti dipendenti sono dipendenti dal lavoro e dal costante impegno. È più probabile che lo stress derivi da fattori esterni o che sia opera nostra?

Dieter Kissling: Entrambi gli aspetti sono rilevanti. Se un individuo ha aspettative elevate, ad esempio perché tende a essere perfezionista, questo contribuisce allo stress. D'altra parte, anche le condizioni quadro sono centrali, come la cultura aziendale e manageriale. Quando le due cose si combinano, può verificarsi uno stress cronico.

La psicologia distingue tra eustress e distress, cioè stress positivo e negativo. Lo stress può essere anche positivo?

In origine, lo stress è una strategia di sopravvivenza: quando arriva l'orso, dobbiamo essere più efficienti per sopravvivere. Diventa un problema solo quando è richiesto un livello elevato e permanente di prestazioni e lo stress diventa cronico.

Ma immaginate se in passato non vi sentiste stressati davanti alle situazioni d'esame. Non sarebbero stati affatto disposti a imparare. Anche lo stress ci ispira.

Quando la sfida diventa sovraccarico, l'impegno soddisfacente diventa stress malsano?

Quando il nostro corpo e la nostra psiche ci chiamano e compaiono i sintomi. Quando mi accorgo che sto cambiando a causa di questo stress cronico. In quel momento, dovreste ammettere a voi stessi che avete bisogno di ridurre le spese.

Quali meccanismi sul posto di lavoro creano stress negativo?

Le ricerche dimostrano che la pressione del tempo è proprio in cima alla lista. Anche il lavoro con i clienti o i pazienti comporta rischi elevati di stress. Inoltre, ci sono vari problemi di leadership, come i problemi di comunicazione tra dipendenti e supervisori e il tema della precarietà del lavoro. Anche gli orari di lavoro prolungati e i conflitti interpersonali generano stress negativo.

Quando i livelli di stress sono cronici, ci si può ammalare. Quali sono i sintomi di questo fenomeno?

A livello fisico, ci sono le tipiche tensioni spalla-collo, i disturbi dell'intestino irritabile o le aritmie cardiache. A livello psicologico, i disturbi del sonno sono un sintomo precoce.

Vi sono poi problemi di concentrazione, dimenticanza e irritabilità. Divento sottile e reagisco in modo più aggressivo all'ambiente. Purtroppo, questi primi segnali spesso passano inosservati a chi è bloccato in questa spirale di stress. Per loro è solo una parte, e l'ambiente ne risente.

Esiste un "punto di non ritorno" in questo processo, dopo il quale la persona colpita non può più uscire dalle conseguenze dello stress?

Sì, purtroppo c'è. Quando l'esaurimento diventa così forte che niente funziona più. Se si manifestano i sintomi della depressione o se si sono sviluppati danni fisici, è necessaria una terapia intensiva. È quindi necessario un aiuto dall'esterno, se necessario come ricovero in una clinica, in modo che i pazienti possano essere trattati in modo coerente.

L'esercizio fisico è estremamente utile.

Prevenzione delle parole chiave: Cosa si può fare per evitare di rimanere intrappolati in questa spirale?

L'esercizio fisico è estremamente utile. Quando facciamo esercizio fisico, nel cervello si formano nuovi neuroni che lo rendono più resistente. Dovremmo rilassarci regolarmente e dormire a sufficienza, dalle sette alle otto ore a notte. Inoltre, non dovremmo lavorare dalla mattina alla sera senza interruzioni, ma fare una micro-pausa ogni ora e raccogliere i nostri pensieri.

Dovreste anche rivedere le vostre aspettative: Deve essere sempre tutto perfetto? Questo include anche il controllo dei pensieri che aggravano lo stress, come "cosa pensano di me?", invece di stressarsi continuamente.

Qual è la responsabilità dell'ambiente di lavoro?

Come datore di lavoro, mi chiedo continuamente: Come posso creare una cultura aziendale con i miei valori e le mie convinzioni standard in cui i dipendenti si sentano a proprio agio? La mia cultura di leadership è solidale e apprezzabile? Questi sono aspetti importanti che devono essere chiariti insieme ai dipendenti in un ambiente di lavoro. Allo stesso tempo, mi aspetto che i miei dipendenti si assumano le proprie responsabilità e mantengano un certo livello di comportamento salutare.

Esistono fattori di stress che non possono essere influenzati né dai supervisori né dai dipendenti?

Con la pandemia di Corona, ne stiamo vivendo un esempio da due anni. Non possiamo controllare Covid, ma possiamo influenzare il modo in cui lo affrontiamo. Questo è il nocciolo della questione. Noi la chiamiamo resilienza: Lascio che una situazione stressante mi faccia ammalare o ho la capacità di rimanere in salute nonostante essa?

L'intervista è stata condotta da Irène Dietschi.

Burnout: sintomi e rimedi

L'intelligenza artificiale per individuare il burnout

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L'intelligenza artificiale potrebbe aiutare a rilevare il burnout. Scienziati sostenuti dal Fondo nazionale svizzero hanno sviluppato un metodo promettente basato sull'analisi automatica del testo.

Dimmi come scrivi e ti dirò se sei in burnout. Dei ricercatori hanno sviluppato un metodo basato sull'analisi automatica di parole e frasi per individuare i casi di esaurimento sul lavoro.

I risultati, pubblicati nella primavera del 2022 su Frontiers in Big Data, sono piuttosto impressionanti: l'intelligenza artificiale identifica correttamente il burnout nel 93% dei casi.

Nell'ambito di questo lavoro, gli scienziati hanno analizzato i testi della piattaforma Reddit, un sito web in lingua inglese che funziona come un forum di discussione organizzato per temi.

In totale, è stato compilato un database di oltre 13'000 estratti di testo. Alcuni provenivano da discussioni relative al burnout, mentre altri provenivano da una varietà di altri forum tematici.

Secondo Mascha Kurpicz-Briki, docente di ingegneria dei dati alla Scuola universitaria professionale di Bienne, il metodo richiede meno tempo ed è anche più affidabile degli attuali test psicologici. "A volte possiamo avere problemi con domande con risposte graduate. Può anche accadere che le persone cerchino di influenzare i risultati", spiega la ricercatrice.

È proprio quello che i ricercatori volevano migliorare con questo metodo. Una piccola frustrazione, tuttavia, consiste nel fatto che non è possibile sapere con esattezza quali parole o giri di parole vengono considerati come sintomi di burnout. Il metodo potrebbe essere paragonato a una scatola nera che non rivela tutti i meccanismi decisionali.

I risultati devono ancora essere consolidati con i medici che verificheranno le conclusioni su casi reali di burnout e su un campione rappresentativo della popolazione.

Il burnout è uno stato di profonda stanchezza fisica e psicologica. Non è facile da individuare, perché i suoi sintomi assomigliano a quelli di malattie come la depressione o l'ansia.

Rilevare l'esaurimento

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L'organizzazione sindacale Travail.Suisse chiede misure legislative per combattere lo stress e l'esaurimento sul posto di lavoro. Tra le altre cose, vuole contrastare la tensione psicologica dei dipendenti con regole più efficaci sugli straordinari e più ferie. Secondo il sindacato, sempre più persone sono colpite dallo stress da lavoro.

Giornate lavorative troppo lunghe, sempre più flessibilità, confini poco chiari tra vita privata e professionale. L'organizzazione sindacale ritiene che questi sviluppi siano la causa del crescente stress sul posto di lavoro. Ritiene che i politici debbano intervenire e chiede regole più efficaci sull'orario di lavoro e più ferie per tutti.

Lo stress e l'esaurimento rappresentano un grande peso per i dipendenti, ha dichiarato il presidente di Travail.Suisse Adrian Wüthrich: "Ormai tutti conoscono qualcuno che si è assentato a lungo per burnout". La carenza di lavoratori qualificati comporta maggiore stress per i dipendenti.

Travail.Suisse ha presentato un'analisi sul tema in occasione della conferenza stampa congiunta con i rappresentanti del sindacato Syna, del sindacato degli alberghi e della ristorazione e dell'associazione del personale di Transfair.

Travail.Suisse vuole iniziare, tra l'altro, con la programmazione dei turni di lavoro: oggi gli orari di lavoro devono essere annunciati solo con due settimane di anticipo. Questo non è più appropriato, dato che sempre più famiglie hanno entrambi i genitori che svolgono un'attività lavorativa. L'organizzazione vorrebbe inoltre che il lavoro su chiamata fosse esplicitamente vietato.

L'organizzazione chiede anche norme più severe riguardo riposo e orari di lavoro. In un numero sempre maggiore di aziende, i dipendenti devono essere presenti dalle prime ore del mattino fino a tarda sera, con poche ore di riposo nel mezzo. Travail.Suisse chiede quindi che la durata delle giornate lavorative, compreso il lavoro diurno e serale, sia limitata a un massimo di dieci ore al giorno, con al massimo un'ora di straordinario al giorno.

Ad oggi, la legge sul lavoro prevede un orario massimo settimanale di 45 o 50 ore, critica l'associazione. Questo, mentre altri Paesi hanno introdotto già da tempo la settimana di 42 o 40 ore. 

Wüthrich, ex consigliere nazionale del PS, ha accusato i datori di lavoro di voler scaricare il rischio imprenditoriale sui dipendenti. Ha respinto gli appelli borghesi per un allentamento delle norme sull'orario di lavoro.

Una politica di questo tipo non tiene conto dei rischi per la salute, ha detto: "I datori di lavoro chiedono a tutti di lavorare ancora più a lungo: è cinico". Il motore del mercato del lavoro gira a pieno regime. I dipendenti verrebbero formati per ottenere efficienza, efficacia e massima flessibilità.

Secondo Wüthrich, il 40% dei lavoratori dichiara di sentirsi esausto. Come contromisura, Travail.Suisse chiede, tra l'altro, almeno sei settimane di ferie pagate all'anno per tutti, anziché solo quattro, e sette per chi ha meno di 20 anni.

Inoltre, i dipendenti dovrebbero avere il diritto di ridurre il proprio carico di lavoro e di avere maggiore influenza nel determinare il proprio orario di lavoro. Oggi per molte persone è quasi impossibile prendersi cura dei figli o dei parenti, svolgere attività di volontariato o seguire una formazione continua.

Sarebbero necessarie anche norme per garantire il diritto al riposo e alla non reperibilità durante il tempo libero.

Le richieste dei sindacati

Paragonatevi con il resto della Svizzera

Abuso di psicofarmaci, un problema crescente

In Ticino, oltre alle sostanze stupefacenti, è in aumento l'uso di benzodiazepine, anche tra i più giovani - Ottenibili con una ricetta medica, causano dipendenza

In Ticino, oltre alle sostanze stupefacenti illegali, è in aumento anche l'abuso di farmaci, in particolare di benzodiazepine, ovvero psicofarmaci. Un fenomeno preoccupante, perché da un lato genera un mercato nero di ricette mediche, dall'altro questi medicinali sono prescritti anche ai giovani e causano forte dipendenza, rendendo talvolta difficile una diagnosi.

Il 2022 è stato segnato dalla fine della pandemia, che aveva costretto alla chiusura temporanea della sede di Lugano, quello dell'Associazione L'Ancora che, in totale ha avuto 43 pazienti, l'80% di genere maschile.

30.05.2023: Preoccupante aumento dell'abuso di psicofarmaci

"Dal punto di vista dell'esercizio, il Covid non ha portato grandi difficoltà" chiarisce a questo riguardo Fulvio Pelli, presidente comitato dell'Associazione L'Ancora. "Eccetto il fatto che abbiamo dovuto riunire tutti i pazienti in un unico centro, invece di separarli in due centri". Così facendo era possibile intervenire si pazienti colpiti dal Covid, separandoli dagli altri.

Il Centro Terapeutico Villa Argentina ospita al momento una ventina di pazienti su un massimo di 25, ma sono previste quattro nuove ammissioni. Un triste "tutto esaurito" per il Ticino che, oltre a un aumento del consumo di crack, è confrontato con una nuova preoccupante tendenza, le benzodiazepine.

"Sono degli ansiolitici" spiega Mirko Steiner, direttore comitato dell'Associazione L'Ancora "rilassano la persona, combattono l'ansia e sono molti utili se prescritti bene". Al contrario, "diventano invece pericolosi quando il tempo si allunga, le persone aumentano le dosi e riescono a procacciarsi queste sostanze non solo da un medico ma da più medici in contemporanea".

Il rischio è quello che si venga a creare un sottobosco di casi non diagnosticati, perché le benzodiazepine sono ottenibili con ricetta medica.

"Evidentemente questo tipo di medicamento", continua il direttore, "può essere utilizzato anche per calmierare gli effetti, per esempio, della cocaina classicamente". Ma non solo; spesso viene impiegato per combattere lo stress tra i giovani e anche tra le donne sopra i quarant'anni, dove "secondo la casistica, si nota un accesso maggiore a questo tipo di sostanze".

I sintomi visibili di una possibile dipendenza sono sonnolenza improvvisa, calo di capacità di concentrazione, parola e movimenti rallentati.

Aumenta l'abuso di psicofarmaci

I giovani vogliono più flessibilità nel lavoro

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Telelavoro, orari flessibili, videoconferenze... Gli anni del Covid hanno cambiato profondamente il nostro rapporto con il lavoro. I giovani diplomati aspirano a un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e sono sempre di più quelli che vogliono lavorare part-time.

Con il suo attestato federale di capacità (AFC) di impiegata di commercio in tasca, Aya cerca il suo primo lavoro. Partecipa al programma Jeunes@work, che aiuta i neodiplomati a entrare nel mondo del lavoro. Oggi ha un appuntamento con il suo coach per rivedere le sue prime candidature e i suoi desideri. "Il mio lavoro ideale sarebbe quello di scoprire un nuovo settore, con due mezze giornate libere alla settimana per stare con la mia famiglia", spiega la giovane.

Lo stesso vale per Laetitia. Con una bachelor in educazione speciale, vorrebbe lavorare con i bambini autistici, ma non in qualsiasi condizione. "Non vorrei avere un 100%, anche se nell'educazione speciale è piuttosto raro. Forse perché sappiamo che è un lavoro difficile: essere al 100% può portare più facilmente al burnout", sottolinea.

Aggiunge: "Penso che quando una persona sta bene, quando si prende del tempo per sé, è anche più brava nel suo lavoro. Può però essere problematica l'immagine che ne deriva: se non sei al 100%, puoi essere visto come un fannullone, uno a cui non piace lavorare".

Una tendenza confermata da Darryl Lüthi, coach di Jeunes@work. "Negli ultimi cinque anni c'è stato un cambiamento di paradigma. In passato, il lavoro occupava un posto centrale nella vita di un candidato e la vita privata era costruita intorno al lavoro. Oggi l'occupazione non è più un fine in sé".

Una situazione che destabilizza i datori di lavoro. Riuniti a Zurigo, i reclutatori hanno avuto un'anteprima del sondaggio condotto da Universum tra 10'000 neodiplomati in Svizzera. Lo studio sottolinea un chiaro verdetto: per assumere e trattenere i talenti, ci vuole flessibilità e sostegno per le loro passioni al di fuori del lavoro.

"La flessibilità è diventata un'aspirazione quasi universale, accelerata dalla pandemia di Covid-19. Più autonomia e indipendenza. La cultura del lavoro in Svizzera è molto orientata alle PMI: le persone si recano in ufficio e rispettano i loro orari. Questi aspetti oggi sono in contrasto con le aspettative dei giovani e dei professionisti, poiché durante la pandemia tutti si sono abituati a questa flessibilità", analizza Leo Marty, direttore di Universum Svizzera.

Questo desiderio è condiviso anche dai professionisti. È il caso di Xavier, uno specialista informatico di 35 anni che vive a Ginevra. Per tre anni ha chiesto al suo datore di lavoro un 80%, senza mai ottenerlo, e alla fine si è dimesso. Appassionato di fotografia e coinvolto nella vita associativa, ora si candida solo per lavori a tempo parziale.

"Mi sono reso conto che avevo delle cose che volevo realizzare al di fuori del lavoro, e che era difficile farlo lavorando cinque giorni alla settimana. Molte persone intorno a me hanno un lavoro part-time e ho l'impressione che questo dia loro più tempo per la crescita personale. Volevo avere tempo da investire nella fotografia. Ho anche la fortuna di essere in un settore che paga bene, e stare all'80% è sostenibile", spiega.

Lavorare meno per lavorare meglio: un motto che sta prendendo piede. I giovani affrontano piuttosto serenamente la loro entrata nella vita lavorativa: secondo uno studio dell'Ufficio federale di statistica, nove diplomati su dieci hanno un lavoro corrispondente alla loro formazione un anno dopo aver completato gli studi.