Abusi e Chiesa, quello che è successo in Svizzera 

Più di mille casi di abusi sessuali documentati in Svizzera, rileva uno studio durato un anno - Critiche sulla gestione dei casi da parte delle diocesi

Insabbiamenti di casi, trasferimenti di preti, documenti sensibili distrutti, testimonianze non ascoltate, vittime colpevolizzate o isolate, omertà: dalle 136 pagine del "Rapporto sul progetto pilota per la storia degli abusi sessuali nel contesto della Chiesa cattolica romana in Svizzera dalla metà del XX secolo" reso pubblico il 12 settembre, emerge un quadro molto chiaro di come nei decenni gli abusi all’interno delle istituzioni religiose siano stati gestiti dalle sei diocesi svizzere e non solo. E nessuna delle sei diocesi nazionali ne esce bene.

È una prima nazionale: mai prima d’ora era stato presentato uno studio che comprendesse tutta la Svizzera, realizzato attraverso un gruppo di ricerca indipendente che per stilare il suo rapporto ha consultato una ventina di archivi di istituzioni interne ed esterne alla Chiesa cattolica e raccolto e letto e parzialmente analizzato decine di migliaia di pagine di dossier. Ma non solo, ha condotto una decina di colloqui e interviste con persone vittime di abusi sessuali.

Un lavoro enorme, durato un anno, in cui sono stati identificati e parzialmente analizzati 1'002 abusi, non solo su minorenni. “Il progetto pilota in Svizzera è stato condotto in ritardo”, si legge, "ma con un approccio eccezionalmente completo". Infatti, i documenti analizzati sono moltissimi e riguardano anche istituti scolastici, congregazioni, orfanotrofi e associazioni per l’infanzia e la gioventù.

In totale sono state identificate 510 persone accusate e 921 vittime di abuso. Nel 39% dei casi la persona abusata era di genere femminile, in poco meno del 56% di genere maschile, mentre nel 5% il genere non è stato identificabile sulla base delle fonti disponibili. Le persone accusate erano, a parte qualche eccezione, esclusivamente uomini. Dagli atti analizzati emerge che il 74% dei casi riguarda abusi sessuali su minorenni, anche su neonati. È nell’ambito della cura pastorale (lavoro dei sacerdoti e altri dipendenti ecclesiastici) inoltre, che sono emersi i maggiori abusi, il 50%.

A livello svizzero, risale al 2010 la prima organizzazione svizzera per le persone vittime di abusi sessuali nell’ambito della Chiesa cattolica, nata sull’onda degli scandali emersi decenni prima negli Stati Uniti, a Boston, e in Irlanda. Un’onda che non si è mai arrestata e che ha travolto la Chiesa, obbligandola a una politica di maggiore trasparenza.

Trasparenza che però viene offuscata per esempio dal diritto canonico, il sistema giuridico della Chiesa, che regola, tra le altre cose, la conservazione dei documenti all’interno delle istituzioni ecclesiastiche. Tale diritto prevede un archivio segreto, in cui sono conservati gli atti dei processi penali ecclesiastici, a cui ha accesso solo il vescovo. Questi atti possono essere poi distrutti “se i rei sono morti o se tali cause sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna, conservando un breve sommario del fatto”.

"Forte riluttanza a denunciare gli abusi"

Un'anomalia emersa a Lugano è la mancanza di un archivio organizzato per i dossier dell’attività della Commissione diocesana di esperti "Abusi sessuali in ambito ecclesiale", "fatto verosimilmente dovuto al numero limitato di casi trattati dalla stessa Commissione". Sono quattro le persone che si sono messe in contatto con la Commissione dal 2016 a oggi. Un numero così esiguo che porta gli studiosi ad affermare che è un numero "inverosimile" e che "evidenzia una forte riluttanza da parte delle persone offese a denunciare gli abusi". In Ticino, rispetto al resto della Svizzera, mancano inoltre associazioni di sostegno alle vittime.

Una riluttanza che però non è solo ticinese, ma una prassi riscontrata a livello nazionale. Le vittime fanno faticare a raccontare quanto subito. Hanno paura di non essere credute, alcune sono state "diffamate" da dipendenti ecclesiastici. Nel lungo rapporto vengono messe in evidenza la difficoltà e le vergogna dei famigliari a denunciare, anche perché spesso e volentieri c’era un rapporto di riconoscenza o gratitudine nei confronti dell’abusatore. Tra i modus operandi della Chiesa poi c’era la prassi di spostare i rappresentanti ecclesiastici all’interno e all’esterno della Svizzera, chiedere dei trattamenti di favore, insabbiare i casi di abuso.  

Per il futuro, gli studiosi hanno stilato un elenco di suggerimenti che prevedono l’istituzione di consultori indipendenti dalla Chiesa, la conservazione dei documenti, più risorse agli archivisti, l’accesso a tutti agli archivi e la realizzazione di nuovi studi sul tema.

Il documento è stato realizzato grazie all’accordo raggiunto dalla Conferenza dei vescovi svizzeri, la Conferenza delle unioni degli ordini religiosi e altre Comunità di vita consacrata in Svizzera, la Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera e il Dipartimento di storia dell’Università di Zurigo.

Abusi e Chiesa, cosa è successo in Svizzera

“È come distruggere un fiore pronto a sbocciare”

Simone Fassora

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Una vittima racconta gli abusi subiti da un sacerdote negli anni Sessanta, quando aveva solo 14 anni - La testimonianza di Christiane Marmy

Da adolescente, i genitori di Christiane Marmy si trasferirono a Losanna e chiesero a un ottimo amico di famiglia, un sacerdote, di ospitarla a casa sua per permetterle di finire gli studi a Friburgo.

"Diverse sere alla settimana veniva. Sapeva dov'era la mia stanza", racconta. "Era sempre in camera da letto, di notte, che gli abusi venivano perpetrati".

Christiane Marmy aveva 14 anni all'epoca. "Avevo un viso così innocente, che si apriva alla vita", dice guardando le vecchie foto. "È come distruggere un fiore pronto a sbocciare".

Per tre mesi, Christiane Marmy è stata "davvero sotto il controllo" di questo sacerdote. All'epoca, però, non lo disse a nessuno.

"Non ricordo che mi abbia detto di tacere. Non riuscivo a immaginarmi di parlare di questo", ricorda.

La pensionata spiega il suo silenzio con l'importante posizione che i sacerdoti occupavano nella società 60 anni fa, quando si verificarono i fatti.

"All'epoca, si trattava di un contesto sociale di cristianità, i sacerdoti avevano notorietà, erano considerati come un Dio", afferma.

Christiane Marmy ha vissuto per anni nel diniego. "Per vivere la mia vita nel miglior modo possibile", spiega.

Ma nel 2008, durante una conversazione casuale, gli tornò in mente tutto. Ne parla con la sorella che le dice di aver subito anche lei abusi dallo stesso sacerdote, ma per molto più tempo.

Nel 2020, le due sorelle si sono rivolte al vescovo Charles Morerod, che ha concesso loro la massima attenzione e l'accesso al fascicolo del loro aggressore. Scoprono che il sacerdote era già stato accusato di abusi intorno al 1955, prima che le prendesse di mira.

"Aveva già avuto problemi in passato. C'era stata una denuncia da parte di una famiglia che non ha mai avuto seguito", spiega Christiane Marmy.

Pur essendo certa che al giorno d'oggi "la diocesi si sarebbe allertata", questa situazione rafforza l'immagine della Chiesa come al di sopra della legge.

Tuttavia, esistono dei meccanismi per portare la questione in tribunale. I sacerdoti e i vescovi, come chiunque altro, possono essere perseguiti dalle autorità giudiziarie.

I reati contro l'integrità sessuale sono, in teoria, perseguiti d'ufficio, senza bisogno di una denuncia da parte della vittima.

Infine, il diritto canonico stabilisce che i sospetti di abuso sessuale devono essere denunciati alle autorità civili se c'è il rischio di recidiva.

Tuttavia, il numero di procedimenti legali aperti è molto basso rispetto al numero di casi di abuso segnalati.

Ciò si spiega con la difficoltà delle vittime a parlare, con la prescrizione e con la cultura della segretezza nella Chiesa in generale.

Il rapporto dell'Università di Zurigo dimostra che la Chiesa cattolica ha ignorato le vittime, ha coperto gli autori degli abusi sessuali e ha distrutto gli documenti incriminatori, riaprendo la questione della responsabilità legale della Chiesa.

A Berna, i deputati discuteranno la questione della definizione della responsabilità della Chiesa per le azioni dei suoi dipendenti. Potrebbe quindi essere ritenuta colpevole degli abusi commessi dai suoi sacerdoti e vescovi.

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Nel caso di Christiane Marmy e di sua sorella, la loro denuncia è stata ascoltata, ma essendo l'aggressore morto, non ci sarà mai un processo. Tuttavia, le sorelle hanno ricevuto 20'000 franchi a testa a titolo di compensazione.

"Mia sorella è morta pochi mesi dopo", racconta Christiane Marmy. "Sessant'anni di silenzio, poi, poco prima della morte, il riconoscimento. Era un grido di liberazione".

Per questo Christiane Marmy incoraggia ora altre vittime a cercare aiuto, in particolare presso il Gruppo di sostegno alle persone vittime di abuso da parte di autorità religiose (Gruppo SAPEC).

"Con il SAPEC, vorremmo che tutte le vittime potessero parlare e venissero ascoltate", afferma.

Il SAPEC gli ha permesso di incontrare altre vittime, la maggior parte delle quali ha tagliato i ponti con la Chiesa. Christiane Marmy li comprende, ma la sua fede rimane intatta.

"Fa parte della mia storia e credo sia importante che, con tutto l'aiuto che ho ricevuto, io possa rileggere questa storia con calma e continuare il mio cammino con serenità", conclude.

La testimonianza di una vittima

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Uno studio ha rivelato oltre mille casi di abusi sessuali all'interno della Chiesa cattolica svizzera. Monsignor Joseph Maria Bonnemain, vescovo di Coira e incaricato di indagare su presunti casi di insabbiamento, fa il punto sulle misure adottate dalla Chiesa.

SRF News: L'esistenza di abusi sessuali nella Chiesa cattolica è nota da decenni. In altri Paesi si è iniziato a indagare molto prima, perché in Svizzera è successo solo ora?

Joseph Maria Bonnemain: Innanzitutto, perché la Svizzera è complessa. Sono tanti i cantoni e le culture diverse che convivono in questo Paese. Abbiamo le organizzazioni ecclesiastiche statali, cioè le chiese nazionali, le diocesi e anche gli ordini religiosi. E fin dall'inizio abbiamo voluto che queste tre istituzioni lavorassero insieme in uno studio come questo. Ci sono voluti tempo e persuasione per convincere tutti a collaborare.

Allo stesso tempo, era assolutamente necessario di un cambiamento culturale radicale. In modo che l'attenzione l'attenzione non sia più sulle istituzioni, sulla Chiesa e il suo buon nome, e ancor meno ai colpevoli, ma sulle vittime e sulle persone. C'è voluto tempo per realizzare questo cambiamento culturale.

SRF News: Uno studio preliminare ha documentato 1'002 casi di abusi nella Chiesa cattolica in Svizzera. Gli storici dicono che questa è solo la punta dell'iceberg, e ce ne saranno molti altri.

Joseph Maria Bonnemain: I ricercatori hanno incoraggiato un maggior numero di vittime a farsi avanti, così come le persone che sono a conoscenza di tali aggressioni. Pertanto, molti si faranno sicuramente avanti.

Ma questo è un bene. Dobbiamo essere presenti per la gente, soprattutto per i più deboli, per i più bisognosi, per i trascurati, per tutte queste persone che portano con sé delle ferite. Perché queste aggressioni lasciano ferite che durano tutta la vita.

SRF News: Per decenni la Chiesa ha protetto i colpevoli invece delle vittime e ha sistematicamente insabbiato i casi. Cosa state facendo ora, in particolare, per le vittime?

Joseph Maria Bonnemain: Abbiamo deciso misure concrete. In primo luogo, sarà istituito un ufficio di denuncia indipendente in tutta la Svizzera, in modo che le vittime possano denunciare senza problemi e siano assistite, accompagnate e sostenute.

In secondo luogo, i requisiti di ammissione per coloro che desiderano intraprendere una carriera spirituale saranno inaspriti. Stabiliremo gli standard per i test psicologici per tutta la Svizzera. Professionalizzeremo i fascicoli del personale in modo che tutto ciò che è registrato sia conservato da coloro che lavorano nella Chiesa e nulla vada perduto. Quando le persone si trasferiscono da una diocesi all'altra, i loro dossier dovrebbero poter essere trasmessi. Inoltre, impediremo e vieteremo la distruzione dei documenti dagli archivi. Una misura che è già stata implementata.

SRF News: Quindi si fa soprattutto prevenzione. Attualmente, tuttavia, diversi vescovi in carica sono oggetto di critiche. Ora siete incaricato, come vescovo, di esaminare questi casi. Non dovrebbe farlo una persona esterna?

Joseph Maria Bonnemain: Sarebbe ideale se fosse una persona indipendente a farlo. Al momento, tuttavia, ciò non è possibile perché la legislazione del 2019 prevede che ciò venga fatto da un vescovo del Paese. Solo per questo motivo ho accettato l'incarico con molta riluttanza. Tuttavia, ho accettato con la determinazione di non farmi influenzare da nessuno. Studierò tutti i fatti, i dossier, le interviste e gli interrogatori a fondo e alla fine riporterò il tutto in un rapporto e lo invierò a Roma.

L'intervista è stata condotta da Bigna Silberschmidt

Bonnemain e la risposta della Chiesa

La Chiesa cattolica affronterà veramente i casi?

La pubblicazione dello studio pilota sui casi di abusi sessuali nella Chiesa cattolica in Svizzera ha suscitato un'ampia eco. Le reazioni in sintesi.

Monsignor Büchel ammette gli errori:  il vescovo di San Gallo, Markus Büchel, ha reagito ai risultati dello studio sugli abusi sessuali nella Chiesa cattolica e ha riconosciuto gli errori. Le indagini comprendono due casi nella sua diocesi. Uno riguarda gravi abusi in un orfanotrofio di Lütisburg, durati fino al 1988. L'altro caso riguarda un sacerdote accusato di violenza sessuale dal 2002. Ora è stata presentata un'accusa penale contro di lui. Anche se entrambi i casi si sono verificati soprattutto durante il mandato del suo predecessore, è stato monsignor Büchel a non rivedere le sue indagini.

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L'abate di Saint-Maurice si sospende: Jean César Scarcella, abate di Saint-Maurice, ha annunciato che si sospenderà dall'incarico fino alla conclusione delle indagini a suo carico. È accusato di violenza sessuale e di insabbiamento. Su di lui sta indagando monsignor Joseph Maria Bonnemain, a cui la Conferenza dei vescovi svizzeri ha affidato l'incarico di condurre le indagini su questi casi.

La diocesi di Lugano promette di migliorare: Lai vertici della diocesi di Lugano hanno  prospettato un "cambiamento netto". Secondo lo studio pilota, negli anni '90 sono stati distrutti numerosi documenti. Inoltre, l'archivio è stato gestito per molti anni da personale non qualificato." È impossibile per la diocesi di Lugano non riconoscere la propria colpa in questa vicenda", ha dichiarato l'amministratore apostolico della diocesi di Lugano, Alain de Raemy. Bisogna fare giustizia per le vittime, ha detto. Come miglioramento concreto, de Raemy ha prospettato la creazione di un centro indipendente per la denuncia delle violenze sessuali. La commissione che oggi esiste per questi casi fa parte della stessa diocesi.

Appello per un cambiamento culturale: il vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, Charles Morerod, ha definito "scioccante" lo studio dell'Università di Zurigo. Ha detto che il rapporto ha mostrato ancora una volta la cattiva gestione dei casi di abuso nella Chiesa. "Siamo impegnati in un cambiamento culturale all'interno della Chiesa", ha affermato Morerod. Secondo il SonntagsBlick, è accusato lui stesso di non essere intervenuto dopo che i casi di abuso sono emersi. Si dice che abbia persino promosso il sacerdote in questione. Monsignor Morerod non ha voluto commentare ulteriormente le accuse, affermando che i "fatti sono stati sottoposti agli organi competenti", cioè alla magistratura statale ed ecclesiastica. Ha detto di non voler interferire nelle indagini. Poco dopo la sua dichiarazione, Morerod è stato ricoverato in ospedale. Si trattava di un'emorragia cranica dovuta a un incidente in bicicletta avvenuto qualche mese fa. L'operazione è andata bene, ha dichiarato la diocesi.

Offerta di dimissioni a Sion:  Il vescovo Jean-Marie Lovey ha negato di essere a conoscenza o di aver coperto i casi di abuso. In totale, dal 2015 si sarebbero verificati 19 casi nella diocesi di Sion. Se le indagini lo incrimineranno personalmente, ha prospettato la possibilità di dimettersi. "Non ho distrutto alcun documento in questo settore degli archivi", ha assicurato ai media.

La risposta dei vescovi

La giustizia civile e gli abusi nella Chiesa

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I casi di abusi sessuali emersi nella Chiesa cattolica svizzera non verranno forzatamente presi a carico dai tribunali civili

La stragrande maggioranza dei reati contro l'integrità sessuale viene perseguita d'ufficio, cioè senza la necessità di presentare una denuncia, ma le informazioni sulle aggressioni sessuali all'interno della Chiesa cattolica svizzera contenute nello studio dell'Università di Zurigo sono incomplete.

Polizia e autorità giudiziarie non sono in grado di individuare la data e il luogo degli abusi registrati. Dopo la pubblicazione dello studio non sono stati segnalati nuovi casi, a parte quelli denunciati all'inizio di settembre da un ex vicario, attualmente sotto la lente delle autorità dei Cantoni di Vaud e Friburgo.

I ricercatori dell'Università di Zurigo potranno anche denunciare gli abusi. Secondo i termini del contratto stipulato con la Conferenza dei vescovi svizzeri per questo studio, il team specifica che può presentare una denuncia se rileva un possibile atto punibile. Deciderà caso per caso. Infine, alcuni dei casi identificati dall'Università di Zurigo erano già stati oggetto di un procedimento penale.

La copertura mediatica di questo studio potrebbe anche incoraggiare altre denunce, se i fatti non sono caduti in prescrizione. Anche i testimoni possono denunciare abusi: in questo caso, la polizia contatterà innanzitutto la presunta vittima per informarla che è disponibile a discutere la questione, ha dichiarato Pierre Aubert, procuratore generale neocastellano.

Tuttavia, la vittima può rifiutarsi di parlare. Aubert ammette che le possibilità di basare un'accusa sufficientemente solida solo sulle parole di terzi sono scarse, quando le aggressioni sono spesso commesse in segreto.

Anche Camille Perrier Depeursinge, professoressa di diritto penale all'Università di Losanna, sottolinea la difficoltà per il sistema giudiziario di affrontare questi casi di abuso sessuale. In primo luogo, le "vittime non possono essere identificate o identificabili". E poiché gli eventi possono risalire a un passato anche distante, gli aggressori potrebbero essere anziani o deceduti.

C'è inoltre il rischio di trascinare una persona aggredita in una procedura che "non vuole, che potrebbe essere estremamente dolorosa". Di conseguenza, "è comprensibile che le autorità penali non si siano partite a testa bassa" dopo la pubblicazione del rapporto, conclude l'avvocato.

In caso di abusi di questo tipo, "che ovviamente hanno un impatto psicologico devastante", le persone che desiderano sporgere denuncia possono innanzitutto rivolgersi a un Servizio per l'aiuto alle vittime di reati (LAV), che esistono in tutti i cantoni, spiega l'avvocata Joëlle de Rham-Rudloff. Questi centri offrono, tra le altre cose, supporto psicologico e una prima consulenza legale.

Tuttavia, la volontà di avviare un procedimento penale dipende dalle "risorse" di ciascun individuo, spiega l'esperta di diritto penale. Se alcuni "hanno bisogno di presentare una denuncia" a prescindere "dall'esito della procedura", il fatto di dover ripercorrere più volte le aggressioni subite "può essere un peso psicologico insopportabile".

Chi ha subito una violenza è anche soggetto a una "vittimizzazione secondaria", poiché la sua parola sarà messa in discussione e la minima contraddizione rimproverata, "mentre quando si subisce un abuso sessuale non si prendono appunti".

Anche se "la procedura penale è un calvario", Joëlle de Rham-Rudloff nota il suo miglioramento all'interno del sistema giudiziario svizzero con l'introduzione di una nuova legislazione, la Legge federale sull’aiuto alle vittime di reati (LAV), nel 2007.

"Le vittime non si trovano più di fronte al loro aggressore" quando testimoniano, grazie a stanze separate e vetri unidirezionali. Quando i bambini vengono ascoltati, "sono ascoltati secondo protocolli estremamente rigidi, da agenti di polizia appositamente formati", spiega.

La specialista sottolinea anche che gli avvocati, come il personale dei servizi LAV, "sono lì per sostenere" le persone nei loro sforzi, mentre i pubblici ministeri e i giudici sono sempre più consapevoli della necessità di ricevere e analizzare questo tipo di comunicazioni.

Le indagini non sono automatiche

Alcuni colpevoli probabilmente la faranno franca

Gli oltre mille casi di abusi nella Chiesa cattolica svizzera sollevano la questione delle conseguenze penali

I reati sessuali gravi sono perseguibili d'ufficio: il ministero pubblico deve avviare le indagini non appena riceve prove concrete di tale reato. Ma può farlo solo se i casi non sono prescritti.

Sebbene gli abusi sessuali gravi su bambini di età inferiore ai dodici anni non siano più soggetti a prescrizione, questo vale solo per i casi che non erano ancora prescritti nel 2008, quando fu adottata la cosiddetta iniziativa sull'imprescrittibilità.

Dei 1'002 casi identificati nello studio sui casi di abuso nella Chiesa cattolica, solo 67 si sono verificati tra il 2010 e il 2023. La maggior parte si è verificata tra il 1950 e il 1970 e di conseguenza sono prescritti.

Tuttavia, dopo la pubblicazione dello studio, lo Stato sta prendendo provvedimenti. L'ufficio del ministero pubblico di San Gallo sta attualmente esaminando il rapporto per individuare eventuali reati. Le procure dei cantoni Vallese e Grigioni stanno facendo lo stesso.

Tuttavia, secondo il ministero pubblico grigionese, non è facile identificare gli autori anonimi. Si spera quindi che il rapporto incoraggi le vittime a sporgere denuncia penale. Questo renderebbe il lavoro molto più semplice.

Alcune vittime non vogliono però avviare un procedimento penale. Agota Lavoyer, consulente per il sostegno alle vittime, può capirlo: "I procedimenti penali possono essere molto stressanti e traumatizzanti".

Sottolinea però che l'abuso sessuale dei bambini è spesso un reato reiterato. Pertanto, sarebbe importante sporgere denuncia penale per proteggere altre potenziali vittime.

Adrian Loretan, professore di diritto canonico e diritto ecclesiastico statale all'Università di Lucerna, ritiene importante che lo Stato agisca. Non è sufficiente che la Chiesa indaghi da sola sui casi. "Solo la legge dello Stato può creare una consapevolezza dell'ingiustizia" sottolinea.

Le vittime non possono essere protette dal diritto canonico, perché questa indaga solo se lo stupro costituisce una violazione della legge sul celibato. E sebbene questo sia un peccato, può essere perdonato nella confessione.

Così, alcuni sacerdoti sono stati semplicemente trasferiti in un altro luogo dopo che un abuso è diventato noto.

La pubblicazione dello studio ha ora portato a un ripensamento nella chiesa di San Gallo. Il vescovo ha presentato una denuncia penale contro un sacerdote accusato di aggressione diversi anni fa.

Sebbene all'epoca un comitato di esperti interno alla Chiesa abbia indagato sul caso, le accuse erano state smentite. Il vescovo ha ammesso in conferenza stampa che si è trattato di un errore e che sarebbe stato meglio chiamare allora la polizia.

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Alcuni colpevoli la faranno franca

Critiche dalla base della Chiesa cattolica

I laici coinvolti da anni nelle diocesi esprimono ora giudizi severi nei confronti di vescovi e sacerdoti. Chiedono riforme fondamentali, per assicurare un futuro alla Chiesa

Markus Greiner è coinvolto da 16 anni nell'amministrazione della chiesa di Aarau, e oggi è presidente dell'assemblea parrocchiale. Dopo il rapporto sui casi di abusi sessuali nella Chiesa cattolica, inizialmente si è sentito sopraffatto: "La rabbia per il tempo che la Chiesa sta impiegando per affrontare questo difficile e terribile problema sta crescendo".

Molti cattolici con cui ha parlato in questi giorni la pensano allo stesso modo, dice Greiner. E alcuni hanno voluto fare un passo in più: "Non possono più tollerare questi casi di abuso e il modo in cui la Chiesa li sta affrontando, e stanno considerando di andarsene". Ora si aspetta una vera e propria ondata: "Posso capire tutti quelli che dicono: 'Non posso più sopportare tutto questo'".

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Lui però intende continuare a impegnarsi a favore della Chiesa e sottolinea che fa anche del bene, ad esempio per i rifugiati e i poveri.

Nuove strutture e fine del celibato obbligatorio

Secondo Hans Hollenstein, presidente del consiglio parrocchiale di Winterthur, la struttura gerarchica del potere nella Chiesa cattolica, la mancanza di trasparenza e la condizione svantaggiata delle donne devono essere cambiate. Anche se approva il fatto che il vescovo di Coira, Joseph Maria Bonnemain, stia indagando sullo scandalo degli abusi, ritiene che siano necessarie nuove strutture al più presto.

Hollenstein vede un problema con il ruolo vescovi. Hanno una funzione esecutiva e giudiziaria allo stesso tempo: "Occorre un'autorità investigativa indipendente e un tribunale indipendente a livello diocesano". I vescovi stessi non sono più a loro agio nel loro doppio ruolo.

Anche Hollenstein, che è stato membro del governo di Zurigo per il Centro, affronta questioni fondamentali. Per lui è chiaro: il celibato obbligatorio deve essere abolito e la Chiesa ha urgentemente bisogno di una morale sessuale più aperta: "La sessualità fa parte della vita umana - e se reprimerla per tutta la vita, ad esempio come sacerdote, è una sfida impossibile per i giovani".

E non è solo il celibato che Hollenstein mette in discussione. Chiede anche con forza che il sacerdozio sia aperto anche alle donne. A questo proposito, si potrebbe imparare dalla Chiesa riformata, dove molte donne pastore svolgono un lavoro molto buono e importante, sottolinea.

Anche Markus Greiner è d'accordo. Ritiene la situazione attuale della Chiesa cattolica insostenibile. "Questa combinazione quasi tossica di queste strutture di potere gerarchico e di soli uomini in posizioni di potere può essere pericolosa" dice, e aggiunge che potrebbe effettivamente incoraggiare le aggressioni.

Le richieste della base sono chiare e inequivocabili. La questione cruciale è se e quanto velocemente i vertici della Chiesa reagiranno. Una cosa sembra certa: senza riforme profonde, la Chiesa cattolica non sarà probabilmente in grado di recuperare la propria credibilità.

L'indignazione della base

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In seguito alle rivelazioni di abusi sessuali all'interno della Chiesa, la Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera teme che la situazione non cambierà se non eserciterà pressioni e minaccia quindi di tagliare le tasse versate ai vescovi

"Non possiamo confidare che i vescovi siano disposti a cambiare le strutture e la situazione in modo sufficiente per ridurre gli abusi sessuali", afferma Urs Brosi, segretario generale della la Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera (RKZ).

In Svizzera è la prima volta che si esercita una pressione finanziaria sulla Chiesa. Pochi giorni dopo le rivelazioni di numerosi casi di abusi sessuali, la RKZ teme che non cambierà nulla.

Nella stampa domenicale Jacqueline Fehr, responsabile per gli affari religiosi del canton Zurigo, promette di chiedere conto. "Le condizioni imposte ai contributi statali sono una leva efficace per porre fine ai tentennamenti nelle riforme", afferma. Secondo il Blick, la Chiesa cattolica di Zurigo è quella che riceve più fondi in Svizzera: quasi 165 milioni di franchi all'anno.

Ogni anno, la Chiesa cattolica svizzera incassa più di un miliardo di franchi svizzeri. Arrivano principalmente dalle tasse pagate dai cittadini e dalle aziende, ma anche attraverso contributi delle autorità pubbliche.

Nella Svizzera romanda, le tasse ecclesiastiche sono riscosse nei cantoni di Giura, Friburgo e Vallese. Vaud sostiene finanziariamente la Chiesa attraverso una parte delle sue imposte generali. A Ginevra e Neuchâtel, è previsto solo un contributo volontario.

Questa leva finanziaria potrebbe offrire una supervisione politica. Tuttavia, nei cantoni cattolici di Vallese e Friburgo, le reazioni sono contrastanti: "Se forniamo un sostegno finanziario, abbiamo il diritto di aspettarci che gli atti abominevoli che sono stati rivelati non si ripetano", afferma Frédéric Favre, Consigliere di Stato vallesano, che insiste: "Abbiamo il diritto di esercitare pressioni, anche finanziarie".

Altro cantone, altra opinione. Il Consigliere di Stato friburghese Jean-Pierre Siggen è più moderato. Ritiene che non si possa smettere di riscuotere la tassa solo per minacciare o esercitare pressioni. "Dato che lo Stato ha rapporti regolari con la Chiesa, possiamo rassicurare la popolazione preoccupata sul fatto che stiamo osservando il suo buon funzionamento e le misure che ha adottato", afferma il capo del Dipartimento delle finanze.

Pressione economica sui vescovi

Paragonatevi con il resto della Svizzera

Abusi nella Chiesa, perché in Ticino le vittime non denunciano?

Nel cantone sono stati denunciati 5 casi in poco meno di 15 anni - Critiche sulla gestione dell'archivio della diocesi di Lugano

Cinque casi in poco meno di 15 anni, troppo pochi: fra i dati che colpiscono sull'onda del rapporto sugli abusi commessi in seno alla Chiesa svizzera c'è quello dell'esiguo numero di vittime che si sono annunciate in Ticino. I ricercatori di Zurigo hanno parlato di una forte riluttanza a farsi avanti, in assenza anche di un'associazione che rappresenti la categoria. "Ogni anno dovevo inviare i dati alla commissione nazionale e mi si chiedeva perché non ce ne sono", afferma intervistata dalla RSI Fabiola Gnesa, giudice e presidente della Commissione diocesana di esperti, che spiega questa riluttanza con una "questione culturale". "Non credo che dobbiamo fare mea culpa" per non aver convinto gli interessati a rivolgersi all'organo, afferma, ma poi ammette: "Abbiamo il compito di raccogliere le testimonianze, non possiamo andare a cercarle e questo è il limite delle direttive. Sicuramente si può fare e si farà di più". Gli esperti hanno evidenziato l'importanza che queste commissioni siano davvero percepite come indipendenti. "Ci siamo impegnati fortemente perché si avesse all'esterno un'idea di trasparenza e forse è questo che è mancato", riconosce ancora Gnesa. 

La commissione, ricorda, è legata alla diocesi ma ha sempre lavorato "in maniera trasparente e autonoma". Alle vittime si aprono però anche altre vie, come il Servizio di aiuto alle vittime di reati del Canton Ticino, il LAV: l'amministratore apostolico, monsignor Alain De Raemy, ha chiesto che presti orecchio a eventuali segnalazioni in ambito ecclesiastico. E potrà portare un dossier fino alla commissione di risarcimento di Zurigo senza avvertire la diocesi.

La difficoltà a identificare possibili casi in Ticino è legata anche alla gestione dell’archivio della diocesi di Lugano. I ricercatori hanno trovato scatole di documenti “ordinate sommariamente per argomento”. Ma non solo, nell’archivio segreto i documenti riguardanti gli abusi sessuali ma anche comportamenti problematici agli occhi della Chiesa, come ad esempio rapporti con donne e uomini adulti sono frammentari, a causa della prassi archivistica, rendendo difficile la ricostruzione dei casi. Diverse fonti inoltre suggeriscono la distruzione di documenti senza il sommario previsto. Viene riportato che nel 1995, stando a una lettera del vicario generale al nunzio apostolico, un sacerdote ricevette dall’allora vescovo Eugenio Corecco l’ordine di bruciare dei documenti legati ad abusi sessuali. Il sacerdote in questione però, contattato dai ricercatori, ha negato i fatti, "rendendo così impossibile confermare con certezza la distruzione di documenti".

Perché in Ticino le vittime non denunciano?

Abusi sessuali nella Chiesa cattolica: un problema globale

La Svizzera, rispetto ad altri Paesi, ci ha messo molto tempo a lanciare uno studio indipendente sugli abusi sessuali all'interno della Chiesa

Nel 2002, un team di giornalisti del "Boston Globe" ha denuncia un sistema di insabbiamenti e trasferimenti di sacerdoti nell'arcidiocesi di Boston. Per la loro ricerca hanno ricevuto il Premio Pulitzer.

Da allora, gli abusi sessuali da parte del clero, dei religiosi e dei dipendenti della Chiesa cattolica romana sono stati presenti nel dibattito pubblico, ma la questione era già stata affrontata in precedenza.

Stati Uniti: nel 1985, il "Rapporto Doyle" dimostrò che l'arcidiocesi di Boston aveva speso 10 milioni di dollari per coprire casi di abusi sessuali. Gli autori del rapporto hanno evidenziato che la Chiesa, per rimanere credibile, avrebbe dovuto trattare in modo trasparente questi casi. I giornalisti del Boston Globe rivelarono in seguito un elaborato sistema di insabbiamento.

Nel 2004 è stato pubblicato un rapporto interno sulla crisi della Chiesa cattolica negli Stati Uniti e uno studio indipendente che ha identificato 10'667 possibili casi di abusi sessuali e 4'392 accusati tra il 1950 e il 2002. Gli avvocati, in particolare, sono stati la forza trainante dell'indagine.

Irlanda: nel 1995, il caso di un sacerdote che abusò sessualmente di 90 bambini per anni suscitò l'indignazione pubblica. Nel 1997, il Governo irlandese si è assunto la responsabilità per i casi di abuso sistematico nelle istituzioni ecclesiastiche, a causa degli stretti legami tra lo Stato e la Chiesa nel Paese.

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Sono particolarmente noti i casi degli orfanotrofi cattolici. Nel 2002 è stata condotta un'indagine ufficiale su pressione di funzionari statali. Sono seguite ulteriori indagini nelle diocesi e altre istituzioni.

Germania: nel 2002, i vescovi tedeschi hanno risposto agli scandali negli Stati Uniti e in Irlanda emanando delle linee guida per affrontare gli abusi sessuali. Ma è stato solo quando i giornalisti hanno rivelato gli abusi in una scuola gesuita di Berlino nel 2010 che gli archivi e i fascicoli del personale sono stati esaminati.

Nel 2014 è stato commissionato uno studio indipendente che ha identificato 1'670 sospetti e 3'677 vittime per gli anni dal 1946 al 2014. Anche le singole diocesi hanno commissionato studi specifici.

Francia: nel 2016 sono venuti alla luce diversi casi di abusi. L'arcivescovo di Lione, il cardinale Philippe Barbarin, che avrebbe coperto gli abusi del sacerdote Bernard Preynat, è finito sotto i riflettori.

Dopo che il "caso Preynat-Barbarin" è stato reso pubblico, nel 2018 vescovi e congregazioni religiose hanno commissionato uno studio indipendente che ha stimato 2'900-3'200 sospetti e 330'000 vittime a partire dagli anni Cinquanta.

Portogallo: nel 2021 i vescovi hanno commissionato uno studio indipendente, pubblicato quest'anno. Dal 1950, sarebbero stati registrati più di 4'800 casi di abusi sessuali da parte del clero e dei dipendenti della Chiesa.

Italia: nel 2022, l'organizzazione delle vittime "Rete l'ABUSO" ha pubblicato un rapporto. Manca uno studio indipendente sulle accuse.

Polonia: non c'è quasi nessun dibattito sociale su questo tema. Finora non è stato condotto alcuno studio indipendente su vasta scala.

Spagna: i media hanno riferito di abusi in Spagna, ma non esiste una procedura sistematica per documentare i casi. La Chiesa cattolica si oppone, ma i media attirano l'attenzione sui casi di abuso sessuale. Il quotidiano "El Pais" ha documentato un migliaio di casi dal 2018.

Come sono gestiti i casi negli altri Paesi?

Abusi nella Chiesa cattolica svizzera, e adesso?

Uno sguardo alle conseguenze dello studio sugli abusi sessuali dagli anni '50 a oggi e dell'inchiesta ordinata dal Vaticano su alcuni vescovi svizzeri per possibile insabbiamento

Uno studio dell'Università di Zurigo ha portato alla luce oltre mille casi di abusi sessuali all'interno della Chiesa cattolica svizzera dal 1950 a oggi. Due giorni prima della pubblicazione del rapporto, la Conferenza dei vescovi svizzeri ha reso noto di aver avviato, su ordine del Vaticano, un'indagine preliminare sul presunto insabbiamento di abusi sessuali da parte di alcuni vescovi.

I leader cattolici svizzeri fanno mea culpa

Da quando la notizia è stata diffusa, alti dirigenti cattolici di tutto il Paese hanno tenuto conferenze stampa o rilasciato dichiarazioni per chiarire le loro posizioni, scusarsi, annunciare la presentazione di denunce penali contro i sospetti o promettere un cambiamento.

"Come istituzioni ecclesiastiche, abbiamo una grande responsabilità", ha dichiarato la Conferenza dei vescovi svizzeri. I membri della gerarchia ecclesiastica "devono affrontare questa colpa" e le necessarie conseguenze, hanno aggiunto.

"Siamo impegnati in un cambiamento di cultura all'interno della Chiesa", ha dichiarato Charles Morerod, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo. Sostiene le riforme proposte, come nuove strutture istituzionali per la denuncia dei casi, il controllo psicologico dei candidati al sacerdozio e il divieto di distruggere i documenti sui casi di abuso.

Morerod sarebbe accusato, insieme a Jean-Marie Lovey, l'attuale vescovo di Sion, di non essere intervenuto o di non aver seguito i casi di presunti abusi. Entrambi non escludono le dimissioni.

Azione più dura e trasformazione del sacerdote

"Sono dieci anni che diciamo loro di fare qualcosa contro gli abusatori e non si è mosso nulla. Quello che le vittime hanno bisogno di sentire oggi è che 'c'è stato un abuso e noi lo sanzioneremo'. Ma la Chiesa attualemente non sanziona le persone", ha dichiarato Sylvie Perrinjaquet, presidente della CECAR, una commissione indipendente sugli abusi sessuali in ambito ecclesiastico.

Jacques Nuoffer, presidente del gruppo svizzero di sostegno alle vittime SAPEC, ha deplora che la Chiesa "pone un problema e rallenta tutto". "Ogni vescovo è indipendente e ha tutto il potere", ha detto.

Per garantire cambiamenti nella gestione interna, si dovrebbe dare più autorità ai laici all'interno della Chiesa, sostiene Laurent Amiotte-Suchet, sociologo delle religioni presso l'Alta scuola sanitaria vodese. È importante che le richieste della base raggiungano il "vertice della piramide" per aiutare a trasformare l'istituzione attraverso i consigli religiosi, afferma.

"Dovremmo anche cercare di trasformare il sacerdote in una persona comune", ha aggiunto.

Nuoffer spera che le scuole religiose e i monasteri sfruttino questa opportunità per incoraggiare le vittime a farsi avanti e a denunciare i casi passati di "comportamenti inaccettabili". Auspica inoltre l'istituzione di un call center nazionale per le vittime e maggiori risorse per la ricerca sugli aspetti legali, psicologici e sociologici per fare ulteriore luce sul problema degli abusi all'interno della Chiesa.

Ma riconosce che c'è ancora molto lavoro da fare. "I test psicologici dei sacerdoti sarebbero un passo nella giusta direzione", ha sottolineato. "Le misure annunciate dalla Conferenza dei vescovi svizzeri devono essere perfezionate. Per il momento, sono solo parole. Dobbiamo vedere cosa succederà. Allora potremo svolgere un ruolo di spinta, per rendere le cose più chiare ed efficaci".