Rabbia contadina, dall’A di Azoto alla Z di Zootecnica

La protesta che sta infiammando gli agricoltori europei nasce da diversi fattori, ma viaggia su un mezzo comune: il trattore

Ad accendere la prima fiammata è stato il gas esalato dalle troppe vacche olandesi. Era il 1° ottobre 2019 quando agricoltori e allevatori dei Paesi Bassi mostrarono che un trattore non serve solo ad arare i campi. Dalle fattorie migliaia di mezzi agricoli marciarono sull’Aja, paralizzando il traffico. A scatenare la protesta il progetto di legge che mirava a dimezzare il numero di capi bovini per ridurre le emissioni di azoto. 

La scena si è ripetuta nell’estate del 2022 quando i trattori imboccarono nuovamente strade e autostrade contro la concretizzazione del piano, dell’allora governo Rutte, teso a ridurre ossidi di azoto e ammoniaca per rientrare nei limiti fissati a livello europeo. La strategia sembra aver pagato visto che la Commissione europea ha approvato un indennizzo da 1,47 miliardi di euro. 

Le politiche dell’Unione Europea sono probabilmente l’unica colla che lega la rabbia dei contadini esplosa in queste settimane in diversi Paesi del continente.  Se gli olandesi hanno mostrato il diverso uso che si può fare di un trattore, sono stati i tedeschi a perfezionarne la tecnica. In Germania la mobilitazione prende il via dalla manovra di risparmio del governo di Olaf Scholz, che a dicembre per sistemare i conti pubblici ha annunciato un taglio dei sussidi ai contadini.

Da inizio anno è stato un crescendo. A partire dal 4 gennaio quando un centinaio di agricoltori ha bloccato su un traghetto a Schlüttsiel, nel Land Schleswig-Holstein, il ministro dell’Economia Robert Habeck di rientro dalle proprie vacanze. I manifestanti volevano che parlasse con loro dei tagli.

Nonostante il parziale ridimensionamento delle misure da parte del governo, soprattutto in merito agli aiuti per il carburante agricolo, gli agricoltori non hanno mollato la presa e l’8 gennaio hanno paralizzato, con blocchi e cortei, metà del Paese. Scene che si sono ripetute nelle settimane successive, in diversi Länder, e sono continuate con il blocco di porti, tra cui quello di Amburgo.

In Francia, che ha raccolto il testimone dalla Germania, la collera cova nelle campagne per una somma di ragioni che vanno dall’aumento dei costi di produzione, agli obblighi ambientali crescenti dettati anche dal Patto verde europeo. Il pacchetto di rivendicazioni, le “misure concrete” che gli agricoltori chiedono al governo di Gabriel Attal sono multiple. 

Nei “cahiers de doléance” sul tavolo del nuovo premier si parla di semplificazioni amministrative, nessun nuovo divieto per i pesticidi, blocco dell’aumento del prezzo del gasolio per i trattori, indennizzo più rapido in caso di calamità e la piena applicazione della legge che dovrebbe obbligare gli industriali e la grande distribuzione a retribuire meglio i frutti della terra.

Anche il Belgio ha seguito l’onda e il 28 gennaio ha fatto i conti con un blocco autostradale. È diventato “impossibile ricavare un reddito decente” dalle attività agricole, ha detto all’AFP Pierre D’Hulst, portavoce della Federazione dei giovani agricoltori, promotrice della protesta.

Rispetto a Francia e Germania, in Italia il tema ha faticato sinora a conquistare le prime pagine dei giornali. Eppure le manifestazioni non sono mancate, con i trattori che hanno sfilato in diverse regioni del Paese. Le ragioni della mobilitazione sono quelle comuni a tutta Europa: prezzi troppo bassi di vendita, costi altissimi, burocrazia, politiche UE che non rispondono alle esigenze diverse dei territori.

Un altro timore che serpeggia nel mondo agricolo europeo è legato al processo di adesione dell’Ucraina all’UE e alla ventilata riforma della Politica agricola comune (PAC). In discussione vi sarebbe infatti la ripartizione dei sussidi che verrebbe rimessa in discussione se Kiev con la sua potenza cerealicola globale entrasse a pieno titolo nel mercato comune.

Le misure già prese dall’UE per sostenere Kiev nella sua resistenza contro la Russia sono l’altro fattore che sta destabilizzando soprattutto gli agricoltori dell’est Europa. Dal giugno 2022 l’UE ha infatti sospeso dazi, contingenti e misure di difesa sull’importazione di prodotti agricoli ucraini. 

Di fronte alle pressioni crescenti la Commissione europea si è detta pronta a permettere agli Stati membri centro-orientali di limitare nuovamente le importazioni dall’Ucraina.

In Romania agricoltori e camionisti, a gennaio, hanno intasato le strade con i loro mezzi. Chiedono tasse più basse e sussidi più equi. La rabbia concerne anche l’aumento del costo dell’assicurazione per i macchinari pesanti. Su questo malumore s’innesta, come detto, la protesta contro il grano ucraino tanto da bloccare i valichi di frontiera con il paese in guerra.

Non è immune dal contagio la Grecia. A gennaio gli agricoltori nel nord del Paese hanno puntato i loro trattori verso le città per evidenziare i problemi che, secondo loro, “minacciano la sostenibilità della produzione agricola e zootecnica”. Anche qui l’attuazione della PAC preoccupa il settore.

La protesta è poi arrivata anche in Spagna, con i contadini e i loro trattori che bloccano autostrade, accessi ai porti e alla grande distribuzione. Anche in questo caso chiedono prezzi più equi per i loro prodotti e di rivedere la prevista riforma della PAC e sono pronti a portare avanti la protesta, che per il momento è stata pacifica, almeno fino alla fine di febbraio.

Rabbia contadina in quasi tutta Europa

Tempi duri per i contadini svizzeri, nonostante il sostegno politico

Simone Fassora

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Il mondo agricolo ha una forte influenza sulla politica svizzera.  Tuttavia, gli agricoltori continuano ad affrontare una serie di preoccupazioni, tra cui l'aumento dei prezzi di produzione e la concorrenza internazionale, spiega il direttore dell'Unione svizzera dei contadini

Il numero di agricoltori in Parlamento è passato da 12 nella precedente legislatura a 20 dopo le elezioni federali dello scorso ottobre. Tuttavia, il settore rappresenta solo il 2,3% dei posti di lavoro in Svizzera.

La dipendenza dell'agricoltura dalla politica spiega questa rappresentanza a Berna, ma intorno a questi rappresentanti eletti gravitano anche circoli economici che difendono interessi comuni. Sono quindi in grado di influenzare le maggioranze o di eleggere i consiglieri federali.

Gli agricoltori "sono sostenuti in modo significativamente migliore rispetto ai Paesi dell'UE", con "pagamenti diretti più elevati" e "una protezione doganale più forte", ha sottolineato Kilian Baumann, presidente dell'Associazione dei piccoli agricoltori e consigliere nazionale.

Il Parlamento ha recentemente risparmiato l'agricoltura da qualsiasi taglio nel bilancio federale. Il Consiglio federale, da parte sua, ha mantenuto il rimborso dell'imposta sul carburante per gli agricoltori.

Nonostante questa influenza nella sfera politica, il direttore dell'Unione svizzera dei contadini ha descritto le "preoccupazioni" del mondo agricolo, con i pesanti oneri amministrativi e l'aumento dei costi di produzione che mettono "sotto pressione i redditi".

Martin Rufer sottolinea l'importanza dei prezzi di acquisto presso produttori, in trattativa con i grandi distributori. Rufer ritiene che siano in ascolto, perché "l'agricoltura non può gestire i propri costi da sola" e deve rimanere "redditizia".

Gli agricoltori svizzeri si sentono minacciati dalla concorrenza internazionale e la prospettiva di un accordo di libero scambio con il Mercosur - Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay - li preoccupa molto. Non vogliono essere una "merce di scambio" nelle discussioni, spiega il direttore. A risentirne potrebbe essere soprattutto il mercato svizzero della carne.

Le manifestazioni degli agricoltori svizzeri contribuiscono a "sensibilizzare" su questi temi, ma devono rimanere all'interno del quadro giuridico per non intaccare la "fiducia" del pubblico, afferma Rufer.

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La situazione in Svizzera

La rabbia dei contadini è giustificata?

Cosa c'è di diverso nella politica agricola tedesca?

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Gli agricoltori tedeschi sono scesi in piazza e hanno paralizzato alcune zone del Paese con i loro trattori. La loro protesta è contro i piani di austerità del Governo: i sussidi e le agevolazioni fiscali devono essere tagliati. In Svizzera, il Parlamento ha recentemente respinto i tagli all'agricoltura. E l'agricoltura è l'unico settore, a parte l'esercito, che non deve fare risparmi. Peter Walthard, vice caporedattore della Bauernzeitung, spiega cosa c'è di diverso nella politica agricola tedesca rispetto a quella svizzera.

SRF News: In cosa si differenzia la politica agricola svizzera da quella tedesca?

Peter Walthard: La politica agricola in Germania non è molto diversa. Le strutture sono simili. C'è un'agricoltura basata su aziende private, relativamente piccole. Ci sono forme di sussidi. L'agricoltura svizzera è probabilmente un po' più frammentata.

È un ambiente di mercato diverso. In altre parole, le piccole aziende agricole a conduzione familiare possono avere maggiori possibilità di sopravvivenza se si pensa all'agricoltura di montagna. Mentre nell'UE la pressione è già molto più forte per avere grandi aziende agricole che possono produrre a basso costo.

SRF News: Potrebbe esserci una protesta di tale portata in Svizzera?

P.W.: La probabilità è molto più bassa. Sebbene i problemi dell'agricoltura svizzera siano simili, il livello dei prezzi è ancora più alto. Il contesto politico è più favorevole all'agricoltura e, soprattutto, abbiamo un sistema politico diverso. Credo che in Germania prevalga la sensazione di non essere più ascoltati, di non essere più presi in considerazione in politica. In Svizzera c'è concordanza, democrazia diretta, federalismo, percorsi brevi, una tradizione di coinvolgimento delle parti sociali e di ricerca del dialogo. C'è meno rischio che si crei una sfiducia tale da far reagire le persone in modo molto emotivo.

SRF News: Gli agricoltori tedeschi non hanno altra scelta se non quella di protestare per le strade?

P.W.: In Germania gli agricoltori hanno anche altri mezzi. Ma è un Paese più grande, con un sistema politico diverso. Non c'è un governo di concordanza. Ci sono coalizioni che hanno un programma chiaro.

E se poi si è all'opposizione, non ben rappresentati in una coalizione, allora è certamente più difficile che in Svizzera, dove per ogni gruppo professionale c'è, per così dire, un consigliere federale che ha un occhio di riguardo. I sindacati troveranno un referente, gli insegnanti troveranno un referente. Questa è una particolarità del nostro sistema.

SRF News: L'agricoltura tedesca vale semplicemente meno di quella svizzera?

P.W.: La Germania ha grossi problemi economici e sta lottando su molti fronti. La pressione sullo Stato per risparmiare è maggiore. La popolazione sente maggiormente la crisi, c'è più inflazione, più perdita di posti di lavoro, la gente ha meno soldi e ha una certa paura del futuro. Anche in Svizzera gli agricoltori non se la passano bene: le piccole aziende di montagna non sono ricche. Ma in Germania molte aziende agricole sono ormai al limite. E se i sussidi vengono eliminati o il carburante diventa significativamente più costoso, a un certo punto non sarà più sufficiente. È una fonte di sostentamento che andrà persa. La reazione di molti è di conseguenza emotiva.

L'intervista è stata condotta da Amir Ali.

Cosa c'è di così diverso in Germania?

Svizzera, Paese del latte: una vocazione in pericolo

Quest'anno per la prima volta l'importazione in Svizzera di formaggi esteri supererà il volume delle esportazioni di formaggi "Swiss Made". Un disequilibrio che minaccia competenze storiche, poiché sempre più produttori e produttrici di latte stanno gettando la spugna.

Nel mese di luglio 2023, Boris Beuret, presidente dell'associazione di categoria delle aziende del settore lattiero Swissmilk, ha fatto scalpore con un'intervista al quotidiano Le Temps quando ha affermato che, per la prima volta, nel 2023 la Svizzera importerà più tonnellate di formaggio di quante ne esporterà. "Ho ricevuto riscontri dal mondo intero a proposito di questa notizia. Degli svizzeri emigrati a Las Vegas si sono addirittura commossi", racconta il 46enne giurassiano.

D'altra parte Switzerland Cheese Marketing, l'organizzazione di categoria dell'industria casearia, per voce della responsabile dei progetti strategici Monique Perrottet conferma questa evoluzione: "La differenza in volume tra importazioni ed esportazioni si sta riducendo fin dalla liberalizzazione dei mercati, nel 2007. I formaggi importati sono molto a più buon mercato rispetto a quelli elvetici".

"Quando il mercato del formaggio è stato liberalizzato 16 anni fa, nei nostri negozi sono arrivati formaggi – per esempio dai Paesi Bassi – del 30% meno cari, le cui vendite non fanno che aumentare", spiega Beuret. La logica del libero scambio vuole che anche i formaggi svizzeri possano a loro volta essere esportati. Ma le vendite internazionali di prodotti elvetici costosi, che si indirizzano a una nicchia di mercato, restano basse.

Il calo dei volumi di vendita spinge sempre più produttrici e produttori di latte a gettare la spugna. A ciò si aggiunge un prezzo del latte giudicato troppo basso dal settore. Anche se è in aumento continuo dal 2009, il prezzo del latte alla produzione nel 2022 si situava a 75 centesimi al chilo, ben al di sotto della tariffa di 1 franco chiesta dalle aziende produttrici. "Il prezzo attuale non copre i costi di produzione. Agricoltori e agricoltrici non arrivano alla fine del mese, e finiscono per chiudere l'azienda", sostiene Beuret.

Risultato: il numero di imprese dell'industria del latte diminuisce due volte più velocemente rispetto agli altri settori agricoli. Tra il 1950 e il 2022, il loro numero è calato dell'87%, passando da 138'380 a 17'603 aziende, secondo il rapporto 2022 di Swissmilk. A questo ritmo, nel 2095 ci saranno solo 2'000 aziende.

Queste prospettive suscitano una certa emozione in seno alla popolazione, poiché la produzione di latte è intimamente legata all'identità elvetica. Questa tradizione si spiega prima di tutto con la topografia del Paese, in cui non è possibile coltivare, ad esempio, cereali su vaste superfici. "Il clima elvetico è inoltre propizio ai pascoli, che rappresentano l'80% delle superfici agricole. Per trasformare l'erba in prodotti alimentari, non abbiamo ancora trovato di meglio che mucche capaci di farne del latte", illustra Beuret.

Produrre in Svizzera comporta costi nettamente superiori a quelli che deve assumersi la concorrenza straniera. Questo, per diversi motivi. Le aziende sono generalmente di piccola taglia, con 29 capi in media per una trentina di ettari. Questa caratteristica rende impossibili le economie di scala praticate per esempio in Spagna, con mandrie di 400 mucche. A questo handicap si aggiunge naturalmente il prezzo elevato, nel confronto internazionale, della manodopera e delle altre spese.

Presidente dell'istituto Agroecology.science a Frick, nel Canton Argovia, Urs Niggli sottolinea la qualità del settore caseario, attestato dall'agenzia federale Agroscope. "La Svizzera ha colture per la produzione di un latte crudo unico al mondo. Con il boom del biologico negli anni Novanta, la diversità dei formaggi è aumentata ulteriormente, soprattutto grazie alle piccole aziende casearie e alla trasformazione in fattoria".  Le condizioni attuali mettono in pericolo queste competenze.

Circa il 20% delle entrate di agricoltrici e agricoltori provengono da sovvenzioni e sussidi diretti versati dalla Confederazione. Numerose aziende non funzionerebbero senza il sostegno statale. "Questi soldi non sono un regalo, ma implicano un fitto elenco di obblighi in ambito di paesaggio, biodiversità e qualità dell'acqua", sottolinea Beuret.

Come altri, la Federazione romanda dei consumatori (FRC) ritiene che le sovvenzioni agricole, create per sostenere produttrici e produttori locali, alimenti di fatto i margini della distribuzione, senza benefici per consumatrici e consumatori.

Bocche cucite sui guadagni della distribuzione

Secondo l'Ufficio federale dell'agricoltura (UFAG), Coop e Migros (con la filiale Denner) rappresentano il 76% delle vendite di derrate alimentari (dati del 2020). Questi giganti della distribuzione si trovano quindi in una posizione di forza per negoziare i prezzi.

Produttore nel Canton Friburgo, Thierry* racconta: "Se la mia azienda resta a galla, è solo grazie alle sovvenzioni agricole. La politica dei prezzi della distribuzione è una strategia a corto termine. Il sistema non può funzionare, se i prezzi non coprono i costi di produzione". Nel villaggio di Thierry, il numero di aziende lattiere è sceso da 12 a quattro negli ultimi 20 anni. "Il nostro rapporto di forza con la grande distribuzione è totalmente disequilibrato", si lamenta l'agricoltore.

Le grandi aziende della distribuzione hanno le bocche cucite sul modo in cui determinano la parte che spetta loro. Bisogna ricorrere quindi a delle stime. Da un'inchiesta pubblicata da Le Temps nel giugno 2023, emerge che i margini di guadagno netti del reparto dei prodotti latteo-caseari oscillano tra il 46 e il 57%. A titolo di paragone, il margine netto in Francia per gli stessi prodotti era del 24,3% della cifra d'affari, secondo il rapporto 2022 dell'Osservatorio dei prezzi francese. La FRC si sta battendo per una maggiore trasparenza del plusvalore generato dai beni alimentari in Svizzera.

"Coop paga prezzi conformi al mercato e tratta i suoi fornitori in modo equo. Realizziamo un guadagno di 1,7 centesimi per franco di cifra d'affari, che è poco rispetto alle  imprese a scopo di lucro", risponde Caspar Frey, portavoce di Coop.

"In altri settori, le imprese realizzano margini del 10% e oltre, senza che si domandi loro di rivelare le loro strutture di costo. Perché i dettaglianti dovrebbero essere l'unico gruppo a dimostrarsi trasparente?", dice dal canto suo Tristan Cerf, portavoce di Migros.

C'è unanimità tra le aziende produttrici nell'affermare che, per garantire il futuro del settore lattiero, i guadagni dovrebbero essere meglio ridistribuiti. "La produzione di latte dà un grande contributo alla sovranità alimentare del nostro Paese, un aspetto la cui importanza è stata recentemente evidenziata dalla crisi del Covid e dalla guerra in Ucraina. Ma mantenere una tale produzione è possibile solo se ogni anello della catena della produzione di valore ottiene ciò che gli spetta".

Per cambiare le cose, Beuret lancia un appello a consumatrici e consumatori. "Le scelte individuali hanno un impatto enorme sulla situazione delle aziende produttrici. È cruciale che la gente sappia ciò che compra quando sceglie un Edammer olandese al posto di un Gruyère svizzero".

Secondo le norme in vigore nei Paesi Bassi, ad esempio, le mucche non dispongono di spazio per sdraiarsi nelle stalle. Questo è invece sancito dalla legge federale elvetica. Anche le norme sulla protezione delle acque sono molto meno restrittive nei Paesi Bassi. "Ad avere l'ultima parola, in ogni caso, è la clientela", conclude Beuret.

*Nome fittizio, identità nota alla redazione

Produttività inferiore nell'agricoltura biologica

"In seguito alla guerra in Ucraina, la quota di mercato dei prodotti biologici è leggermente diminuita in tutta Europa dopo 20 anni di crescita. La quota si è stabilizzata intorno all'8% del totale", osserva Urs Niggli, agronomo svizzero. Entro il 2022, la quota di mercato dei prodotti latteo-caseari biologici in Svizzera salirà al 9%.

Questi prodotti sono più costosi perché la produttività è inferiore del 5-15% rispetto alla produzione standard. "L'uso di mangimi concentrati più economici è molto limitato (massimo 5% della razione alimentare). Il settore biologico lavora con mucche la cui genetica è orientata a una migliore qualità di vita piuttosto che al massimo rendimento".

Anche la longevità degli animali svolge un ruolo importante, poiché le mucche non vengono macellate dopo la terza lattazione, come avviene nell'allevamento industriale. Anche l'uso molto moderato di antibiotici ha un impatto sulle prestazioni.

Formaggio svizzero sotto pressione

"Non vedevo più Blüamli e Lisa, solo mucche"

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Il contadino, che ha subito un burnout qualche anno fa, vuole rimanere anonimo. Lo chiamiamo quindi semplicemente Simon. Le sue parole sono lette da un redattore di RTR.

Per Simon si è trattato di un processo strisciante. Nel corso degli anni è diventato lentamente sempre più aggressivo - arrabbiato per qualsiasi cosa, tutto e tutti. Lui e sua moglie hanno un'azienda agricola da 25 anni. Il che significa lavorare sette giorni su sette, con poche ferie. Inoltre, Simon aveva un'alpe, un incarico comunale e altre posizioni, ha costruito una stalla e un aiutante stagionale ha dovuto lasciare a cause del Covid. Tutti questi fattori si sono rivelati troppo per l'agricoltore sulla cinquantina.

In seguito andò dal medico di famiglia, con il quale ha dovuto giustificare quanto aveva lavorato duramente per ottenere il certificato medico. Inoltre, ci sono voluti un paio di mesi per trovare qualcuno che si occupasse della fattoria. Così Simon ha continuato a lavorare per due o tre mesi, nonostante il burnout diagnosticato. Solo più tardi ha potuto andare in una clinica per tre settimane, per poi tornare a lavorare. Ma si rese conto che le cose non erano a posto.

Il contadino sottolinea che non avrebbe potuto farcela senza l'aiuto della moglie. Ora continua a seguire coaching e prende più seriamente il suo tempo libero. Simon e la moglie hanno deciso di ridurre le dimensioni dell'azienda e di cedere alcuni pascoli. Nelle giorni buoni, l'agricoltore si sente di nuovo un "tuttofare", come prima. Nei giorni cattivi, torna a essere aggressivo. Il processo di cura non è ancora finito.

Lavoro sette giorni su sette e poche vacanze: i contadini hanno un forte legame con il loro mestiere perché trascorrono molto tempo in azienda, secondo Ricarda Caderas, coach e supervisore. Paragona gli agricoltori ai manager, perché subiscono molte pressioni e hanno molte responsabilità.

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I contadini però non possono prendersi diverse settimane di vacanza all'anno. Da un lato è difficile trovare un sostituto, dall'altro è un peso anche dal punto di vista economico. Gestire il proprio tempo non è semplice. Ad esempio, se un agricoltore si rende conto di aver bisogno di un coach, non è facile fissare un appuntamento. Tuttavia, sempre più contadini, soprattutto quelli attorno ai 50 anni, si rivolgono a Ricarda Caderas. La coach di Luven ha lei stessa un'azienda agricola e quindi capisce i problemi degli agricoltori. Si occupa di persone prima che subiscano un burnout o dopo che hanno seguito una terapia.